“Combattente nella vita, combattente sul territorio. FU Leone di nome, fu leone per proteggere i deboli. Era un Servo del Signore”. Sono le parole scritte sulla copertina del libretto a lui dedicato, per non perderne la memoria, pubblicato a 10 anni dalla morte (1996) a cura del Comitato Durantini-Pietralata nell’ambito del progetto: io…PIETRALATA. Don Leone (il suo nome di battesimo: Vincenzo) era nato, primo di dodici figli, ad Aversa (CE). Da giovane si arruolò nell’esercito e partì per l’Africa, in Etiopia e li fu ordinato sacerdote nel 1941. Rientrò in Italia nel 1943, dopo alcuni mesi di prigionia, e fu assegnato a Roma come viceparroco nella parrocchia di S. Michele. Dopo un anno di servizio presso la parrocchia di S. Maria del Soccorso, fu nominato parroco a S. Michele, che allora contava quindicimila anime. Prima ancora di dare un indirizzo religioso, don Leone si impegnò a creare nella borgata un clima di famiglia così che i più disagiati potessero trovare in parrocchia una porta sempre aperta. Pietralata era una zona molto estesa, con vari centri rurali lontani dalla Parrocchia, e questo lo indusse a costruire a Casale Rocchi la Cappella del Sacro Cuore a Casale Quintiliani la Cappella dell’Immacolata. Sul terreno che aveva acquistato in qualità di ex-combattente dall’Opera Nazionale Combattenti, al Casale Feliciani, costruì la Cappella di Cristo Re (ora Parrocchia s. Fedele) ove nei giorni festivi veniva assicurata ai fedeli la Celebrazione della santa Messa. Ben presto la zona intorno al Casale subì un notevole incremento abitativo, e, in accoglimento delle continue richieste dei fedeli, don Leone fece costruire accanto alla Cappella un asilo per bambini ed aule per le cinque classi elementari. Quando il suo lavoro di Parroco aumentò con il notevole insediamento urbano a Pietralata, e non potendo più seguire la Cappella di Casale Feliciani, fece dono al Vicariato di tutto il suo terreno e degli edifici fatti costruire lì sopra. Era l’epoca d’oro della famosa P.O.A. (Pontificia Opera Assistenza). Don Leone con la sua solerzia di pastore fece affluire migliaia di pacchi per venire incontro ai bisogni più urgenti della gente della borgata ancora stordita dagli effetti devastanti della recente guerra. La sua carica umana facilitò un rapporto profondo con la gente. Perciò, mentre da una parte entrava facilmente nelle famiglie per benedire, consolare, rallegrarsi nei momenti lieti e partecipare al dolore nei momenti tristi, dall’altra Don Leone a s. Pietro con i chierichetti 1950 spalancava le porte della parrocchia trasformandola in un punto di riferimento per il popolo. Don Leone riusciva a trascinare i giovani con i suoi modi e le sue iniziative “giovanili”. Fin dall’inizio riorganizzò per loro delle attività ricreative e di evasione che fecero subito presa in un periodo in cui l’unico divertimento era quello che offriva la strada. Riawiò subito per i più piccoli l’oratorio parrocchiale, che in poco tempo diventò fiorentissimo. Fece costruire un campo sportivo interparrocchiale al Casale Quintiliani.
Assicurata, sia pure in parte, l’assistenza spirituale ai centri rurali, ritenne urgente provvedere alla formazione dei giovani della borgata, abbandonati a se stessi, senza lavoro e senza alcuna qualifica professionale. In primo luogo fece costruire i locali per l’insegnamento catechistico, poi i locali per le varie Associazioni cattoliche e per i centri sportivi. Ma, conoscendo le condizioni misere della borgata, non ritenne sufficiente tutto questo. Occorreva preparare i giovani al mondo del lavoro e quindi insegnare loro le cose più elementari di artigianato. Fece allora costruire un centro di addestramento professionale che aveva cinque reparti: fabbri, saldatori, aggiustatori, meccanici e falegnami che dirigeva personalmente. Le prime baracche dei laboratori furono fatte con le sfilature degli alberi, a fianco del salone parrocchiale. In seguito, man mano che riusciva a reperire i soldi, venivano costruite in muratura. “Un grazie alla Provvidenza per averci dato don Leone parroco, “pioniere di Dio” in tempi tanto difficili, ma anche sereni, che ha saputo dare il meglio di se stesso a tutti” (don Remo Bonola). A lui risale la celebrazione solenne della festa patronale che vedeva come un modo prezioso di incontro comunitario e religioso. In questa manifestazione la Parrocchia riusciva a coinvolgere quasi tutti e la borgata sembrava essere un cuore solo ed un’anima sola. Anche se poi per motivi politici la borgata era divisa: ma tale situazione non fermò don Leone che moltiplicò la sua attività pastorale. La sua determinazione di combattente fece sì che anche come parroco si prodigasse ancora, accorrendo in aiuto, durante le alluvioni che troppo spesso inondavano la borgata, salvando donne rimaste imprigionate tra le acque che allagavano le misere casupole e recandosi spesso, anche di notte, nelle case più lontane sparse tra la campagna a portare assistenza ai malati.