E se questo tempo fosse quello in cui prendere una maggiore rincorsa prima del salto? Il tempo del deserto arido prima della Terra Promessa? O, giacché siamo quasi ancora in tema, se questo fosse il tempo del Venerdì Santo, in attesa di una Pasqua sempre più luminosa? Naturalmente una risposta, adesso, non può esser data a queste domande: la daremo, come spesso accade in queste cose, a giochi fatti, quando quelle stesse domande saranno magari solo un ricordo, una volta tornati alla cosiddetta normalità. Ma poi non c’è una risposta giusta o univoca, valida per tutti: ognuno sarà chiamato a dare la sua. Se allora della Terra Promessa non possiamo dir nulla, per adesso, qualcosa tuttavia sul deserto possiamo dirla, e qualche parola vi dirò del mio deserto.
Emanuele (Ello)
È capitato, in queste settimane, di voler rileggere uno dietro l’altro, senza pensarci troppo (perché se ci pensi davvero, o troppo, non lo fai di certo), I promessi sposi e, tutt’ora in lettura, la Divina Commedia. E siccome i classici, quali sono questi testi, ci parlano direttamente ancora oggi, mi viene innanzitutto da condividere con voi due immagini che mi saltano ora in mente. Parto con Dante. Dal V canto leggo: «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria». Certo la condizione della quarantena non è paragonabile al turbine infernale dei lussuriosi Francesca e Paolo, né la citazione deve schiudere un sentimento mellifluo di melanconia. Che poi la quarantena sia veramente e per tutti un tempo di «miseria» non è un’equazione matematica. Ma è pur vero che quando ieri avevi una cosa e oggi non più, semplicemente ne senti la mancanza. Tanto più se ciò che manca è il «tempo felice», per dirla sempre con le parole di Dante. Però di quella terzina dantesca mi interessa di più sapere di aver trascorso, in prima persona, un tempo in cui sono stato davvero «felice», piuttosto che non poter, momentaneamente, avere altre occasioni dello stesso tipo. Mi interessa di più sapere che sono in grado assaporare le cose semplici e autentiche della vita, sicuro poi di poterlo tornare a fare. Ho capito che ho vissuto, soltanto se vivo pienamente. E spero allora di poter fare come Renzo – questa la seconda immagine che condivido – che ben venti (!) mesi dopo aver dovuto salutare la sua Lucia, la rincontra nel lazzeretto, dando finalmente un senso a tutte le peripezie fin lì vissute. Spero cioè di fare lo stesso poderoso salto di gioia di Renzo nel rivedere la donna che ama, una gioia condita da un sorriso nuovo, più vero e autentico, spero di fare lo stesso quando mi capiterà di riabbracciare le persone care che soltanto lo spazio materiale ha potuto tener distanti. Ma basta con la letteratura.
Una «miseria», da cristiano, tuttavia sento di viverla: la mancanza dell’Eucarestia, appuntamento settimanale, pasto garantito e fisso. Se infatti numerose funzioni possono in qualche maniera essere avvicendate (non sostituite) con piattaforme telematiche, il sacramento dell’Eucarestia, forse il più tangibile, è quello che in questo momento manca di più. Manca l’incontro vero e concreto. Ma più che lasciare spazio alla rassegnazione credo che questo sia il tempo per preparare il cuore nuovamente, e diversamente, a quell’incontro che comunque mi aspetta. E non è detto poi che Dio non mi faccia lo scherzo, come ai discepoli di Emmaus, di venirmi incontro e manifestarsi quando meno me l’aspetto, in questa quotidianità all’apparenza così monotona, o in quella persona che ho (forzatamente) accanto, o in quella piccola situazione a casa e così via, non per forza nel tempio adibito al culto e nell’orario settimanale già fissato. Insomma, secondo i Suoi tempi e i Suoi modi e non i miei. E allora devo essere tanto più preparato, rispetto a prima, al fatto che quell’incontro non avverrà alla fine della quarantena, ma può accadere oggi, ora perché no, semplicemente aprendo la porta del mio cuore quando dallo spioncino vedo che a bussare è il Signore.
Un’esperienza che porterò con me è la Settimana Santa vissuta in famiglia. Dove è vero il detto: nessun profeta è ben accetto in patria. Nel senso che è difficile e genera a volte un certo imbarazzo condividere le cose della fede con i parenti più stretti, genitori e fratelli. È un sentimento normalissimo, più facile di solito è confidarsi e condividere le proprie esperienze personali e di fede con qualche amico o con persone che, comunque, sei tu a scegliere. Perché noi non scegliamo in quale famiglia nascere, non scegliamo chi saranno i nostri i genitori o fratelli. Ma sono chiamato ad amarli per quello che sono, sono stato battezzato e li chiamerò «fratelli», sono chiamato a fare pace con la mia storia. Oggi, in questo tempo, sono chiamato a questo, tornerà poi il tempo degli amici e dei fidanzati. Già solo poter condividere questa cosa significa per me aver fatto Pasqua: ho scoperto la semplicità della condivisione della mia fede in famiglia, esperienza che fa cadere quelle barriere che, forse senza neanche saperlo, un po’ per orgoglio e un po’ per stupidità poniamo, quella fede che lega, ma guarda un po’, molto più di quella stupida serie tv.
E chiudo con quest’ultimo pensiero nel deserto: non è davvero mai troppo tardi per fare Pasqua. Come avvenne per Tommaso, l’incredulo poi gran credente, che la visse con una settimana di ritardo rispetto agli altri apostoli. Sarà Pasqua – e non è forse già questo il nostro salto e la nostra Terra Promessa? – se smettiamo di imprigionare Dio nelle maglie del nostro poco tempo o dei nostri mediocri schemi mentali. Sarà Pasqua se smettiamo di ridurre Dio all’opposto di quello che è: una piccola cosa, a nostra misura. Lasciamolo essere grande, sediamoci per riposare tranquilli alla sua immensa ombra. Fidiamoci di lui, soprattutto in questo tempo, forse pieno di dubbi e domande. Non credo di poter mettere la mano sul fuoco sul fatto che domani il sole sorgerà, ma sono certo, e il tempo di Pasqua ne è la riprova, che Dio ama i suoi figli. Perciò non è mai troppo tardi per conoscere questo aspetto di Dio, e conseguentemente non è mai troppo tardi per aprire il proprio cuore all’amore (ma preferisco il termine inglese «kindness» per dire quello che ho in mente e che il termine «gentilezza» può tradurre abbastanza bene): non è mai troppo tardi per aprire il proprio cuore alla gentilezza.
In questo momento che stiamo vivendo, sono tante le emozioni che ho provato. Ho provato lo STUPORE, si perché mi sembrava tutto così esagerato, un vero allarmismo nazionale. Invece la cosa è seria, l’Italia si è fermata e con lei tutto : aziende, uffici, chiesa, palestra, la mia associazione scout.. tutto. Ho provato la voglia di REAGIRE , di far sentire a distanza la mia vicinanza ai miei amici, la famiglia, al mio gruppo scout e ed in particolare i bambini del mio Branco. E mi sperimento con le nuove tecnologie, con le nuove modalità che il momento ci ha costretto: video riunioni su zoom. E per quanto mi sforzo, ci sforziamo manca il lato umano, un semplice abbraccio, il tenerci per mano mentre facciamo cerchio, guardarsi negli occhi, sorridere e ridere di gusto per le loro battute e il loro modo che hanno di coinvolgerti, mi manca tutto questo. Ho provato la RABBIA, perché nonostante la gravità dell’emergenza alcuni non hanno capito e rimangono nel loro individualismo. Ho provato la PAURA perché è sempre così tutto incerto. Ho provato la SPERANZA per due bambini del mio branco che hanno attraversato un momento delicato. Ho provato DOLORE per tutti questi morti, ma soprattutto tanto Dolore per la perdita di una amica e sorella scout coetanea. Ho provato La SOLITUDINE avevo bisogno di stare sola e riflettere, di metabolizzare tutte le emozioni precedenti. Infine ho provato la GIOIA perché Dio che ci ha obbligato a fermarci, ci sta chiamando per nome, uno ad uno… ho risposto e allora mi sono fatta una bella chiacchierata! Si, una lunga chiacchierata, non mi capitava da un po’ considerando la mia vita frenetica ma comunque a mio avviso interessante, non ho avuto via di scampo! Ma tranquilli ho risposto liberamente, e mentre lo tartassavo di domande, io mi svuotavo, cominciavo a sentire le risposte ai miei perché ma soprattutto cominciavo a sentirmi BENE. E voglio dirvi una cosa, non siamo noi a dirci che ANDRÀ’ TUTTO BENE, ma è Dio STESSO! tutto ha un senso, tutto prende forma, se ti fidi, se lo lasci operare dentro di te e lo metti al centro della tua vita, del tuo cuore.
Bagheera Roccia della Pace
In questo ormai lungo periodo di isolamento non posso esimermi da dedicare agli anziani un mio pensiero, loro che maggiormente hanno pagato il tributo a questa situazione; le perdite avute riguardano soprattutto loro che prima di lasciarci hanno sopportato tanti dolori e tanta solitudine, che rinchiusi nelle case non sono stati confortati da figli e nipoti per la distanza che dovevano mantenere, loro che sono ancor di più risultati un peso per la società del profitto, loro che ancora soffrono di paure e di preoccupazioni che i media continuano a procurargli. Ora spero che la famosa fase 2 li riammetta, pur con le dovute cautele, ad una partecipazione diretta nella società che ha bisogno della loro esperienza, della loro saggezza e, anche dei loro piccoli capricci, visto che da anziani si ritorna un po’ bambini e, spero ,che possano tornare a dare il loro piccolo ma significativo contributo alla crescita morale del mondo contemporaneo; anche nella nostra come in tutte le parrocchie, ritornino ad essere un cuore pulsante come lo erano prima della pausa, ne abbiamo sicuramente bisogno. Un abbraccio pieno di gratitudine a loro che ci hanno insegnato tanto.
Anonimo
Avvisi
Le S. Messe che potremo seguire sul canale YouTube di San Michele Arcangelo saranno:
– Sabato ore 19.00 animata da alcuni Scout
– Domenica ore 11.00 animata da alcuni catechisti
La nostra Chiesa di San Michele Arcangelo rimarrà aperta nei seguenti gli orari:
Lunedi – Sabato 8.00-9.30 e 17.30-19.30 e Domenica 8.30-11.30 e 17.30-19.30
Ricordiamo nelle nostre preghiere alcune persone che ci hanno lasciato in questa settimana:
Angela Croce, Angelo Campagna (un nostro amico della Caritas), Eleonora Costa (nonna di due ragazzi scout), Simona (sorella di Alessia)
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d’immortalità.
(Sap 3,1-4)